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Il fuoco. Un'entità quasi mistica nella sua espressione primordiale, brutalità e forza devastatrice in grado di disperdere ogni traccia al suo passaggio. Un'immagine fissa nelle nostre menti che esorcizza paure, cattivi presagi, la convinzione dell'irreversibilità dei cicli di distruzione della terra che il progresso tecnologico in tutte le sue forme ha innestato nei secoli. Una visione di totale annientamento provocato dall'ignoranza umana, la conseguenza metaforica di tutto ciò che il profitto e lo sviluppo industriale hanno tolto alla vita, la punizione all'egoismo di un immenso popolo di automi mossi da un intrinseco ed inarrestabile desiderio di sopraffazione. Il fuoco, una fobia autodistruttiva partorita da un io ammalato e narcotizzato da cemento, strade, macchine pensanti ed ingranaggi, desideroso di veder scomparire una volta per tutte ogni cosa superflua che è stata creata, le consuetudini speculative alla base di tutti i meccanismi di produzione, le subdole messinscene pubblicitarie atte a mascherare con fiori e colori le esistenze lacerate di coloro che affrontano giorno dopo giorno sfruttamento e sottomissione, perché la loro unica speranza rimane tuttora il concedere corpo e mente a mostri onnipotenti ai cui occhi la vita di un singolo è un granello di sabbia, rispetto all'ineffabile e divino sapore dell'oro. Il fuoco che riporta tutto alle origini, la forza sublime, l'essenza… Niente più multinazionali assassine né organismi militari quando tutto è arso, niente più vita se questo è il prezzo da pagare per impedire all'uomo il suo eterno stupro della natura, dei propri simili, dell'intelligenza stessa del genere umano. Solo macerie. Un delirio surreale, catastrofico, il fondo che è stato definitivamente toccato con mano, la fine della lenta agonia di un pianeta destinato ad implodere.
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