Due parole.
Produrre / Consumare.
Trascorrere la quasi totalità della giornata sul posto di lavoro, la notte nel proprio giacilio tentando di riposare le stanche membra.
Ciò che rimane? Alcune ore di respiro, apparentemente da gestire a proprio piacimento, assecondando i propri personali interessi; soltanto un pugno di ore (il diritto, la libertà!) per soddisfare i bisogni primari, legati alla sopravvivenza, e per colmare il vuoto di un'esistenza scandita da ritmi di profitto attraverso la sicurezza di inutili oggetti e servizi che la società in cui viviamo ci costringe ad acquistare.
Cavalcando indomabili vizi inculcati da pubblicità meschine e propaganda comunitaria che grida al consumismo più sfrenato, verso un futuro di alienanti comodità progettate su misura per allietare moderni esseri umani la cui posizione all'interno di gerarchie è strettamente legata alla quantità/qualità dei beni posseduti.
Essere individuo che possiede equivale ad essere degno di considerazione, una logica completamente radicata, a qualsiasi livello sociale, anche nella testa del più comune dei cittadini; è ciò che inconsciamente viene insegnato a tutti noi sin dal momento della nostra nascita.
Una vita condotta al di fuori delle regole della congiura del denaro e della proprietà privata risulta infinitamente aspra e piena di ostacoli; il rapporto con i propri simili diviene difficile, ci si trova ad essere costantemente giudicati e ghettizzati, considerati asociali, allontanati.
Allo stesso modo, mentre l'Occidente industrializzato smaltisce cibo e risorse in eccesso, considerate di scarto per motivi burocratici e di forma, mentre i paesi sottosviluppati soffocano nella miseria ed affrontano depressioni economiche e carestie, ad essere disprezzato rimane comunque il singolo individuo che si oppone alla società dello spreco; è colui che ricicla ciò che viene buttato a conoscere la vergogna, ad essere additato dai propri simili, fieri del proprio benessere e potere di acquisto. E' del tutto impopolare accattare ciò che il mercato scarta, rubare a chi detiene il primato del superfluo, riappropiarsi giorno per giorno di ciò di cui si ha bisogno per sopravvivere, è indice di mancanza di personalità il non possedere i simboli del benessere della comunità capitalista, che essi siano o meno utili alla persona.
In un paese in cui anche il nullatenente lotta per poter ostentare una bella macchina e l'ultimo modello di telefonino, un discorso di razionalità nella gestoine delle risorse della terra diviene inappropriato. I popoli ricchi saranno sempre più ricchi, quelli poveri sempre più poveri, l'80% delle risorse planetarie continuerà ad essere scialacquato dal 20% della popolazione mondiale; i più forti continueranno a concedere ai sottomessi le briciole del proprio lauto pasto.
Il lavoro non è reale esigenza dell'uomo, solo il mezzo di massa attraverso il quale la grande macchina del capitale riesce a funzionare. E' attraverso cicli di produzione serrati della collettività che si vengono a creare quella ricchezza e quel benessere elitari che redono i popoli più industrializzati più forti e competitivi, e quindi in grado di accaparrarsi la maggior parte di ciò che la natura spontaneamente concede all'umanità; un quadro di rapporti di forza che preclude radicalmente la possibilità di una gestione oculata e pacifica delle risorse del pianeta da parte dei suoi abitanti, senza deleghe. Se è vero che teoricamente, magari auto-organizzandosi in modelli di civiltà di stampo tribale, ed in totale rispetto della natura e dell'ambiente, l'intera l'umanità potrebbe sopravvivere senza troppi sforzi usufruendo di ciò che la Terra offre, è anche vero che nella pratica, per la gioia di una conduzione del potere oligarchica e centralizzata, saranno in pochi a detenere il monopolio del benessere, a negarlo ai più, e a concederlo agli altri in piccole dosi in cambio della forza lavoro e della disciplina necessarie all'autosostentamento di questo meccanismo.
40 o 35 ore di lavoro settimanale, nulla cambia. Sempre complici di questo sistema.
Un'ora in meno per produrre, una in più per consumare, ma la sostanza è la stessa.