Una sveglia che suona, le palpebre lentamente si schiudono, gli occhi cominciano gradualmente a focalizzare le prime sagome informi, il ritmo cardiaco inizia ad accelerare.
Di nuovo giorno. Ancora una volta faccia a faccia con la quotidianità.
A volte lo sconforto iniziale è immenso, il desiderio di sparire blocca il respiro, l'idea di dover affrontare un'altra giornata, i suoi compromessi, le sue umiliazioni, la sua depressione, stringe lo stomaco in una morsa di inestinguibile rancore.
Svegliarsi ed uscire allo scoperto in una realtà ostile, che non offre stimoli né motivazioni, aspra, cinica, spietata; costretti ad adattarsi a ciò che è intorno, a rispecchiarsi in vetrine rigurgitanti inutili merci, a percorrere asfalto solcato da mostri meccanici all'ombra di colossi di cemento che sfiorano un cielo oscurato da fumo e polvere. Trovarsi a vagare in mezzo ad una moltitudine di gelidi individui ridotti ad automi, stremati dalla routine di fatiche e sofferenze che da troppo tempo si trascinano appresso; realizzare di essere involontarie comparse in questo desolante scenario.
Sotto costante controllo, impossibile uscire dal cerchio delineato, impensabile senza affrontare una severa ed esemplare punizione, nessuna speranza di poter cambiare qualcosa, nessuna memoria di libertà. Nausea per tutto ciò, odio che affiora spontaneamente in superficie, soffocamento, inquietudine, istinto di fuga ad accompagnare ogni frammento di un'esistenza condizionata, vissuta nell'avversione per la propria impotenza. Altalenante pulsione di autoannientamento.
Periodica ricerca di vacui momenti di distrazione, la mente impegnata talvolta confonde temporaneamente l'inconscia sofferenza, il corpo si apre ad emozioni rilassanti, esperienze creative e situazioni interessanti pervadono il quotidiano, riemergono sogni, progetti, tutto sembra tornare a luccicare…
Ma quanto può durare una labile digressione di ottimismo?