Partecipare all’autogestione di uno spazio è un’attività che regala infinite soddisfazioni e belle emozioni. Inutile stare a parlare di questo, visto che non ci sono dubbi sul fatto che la possibilità di spingere la propria posizione ideologica nel contesto di un collettivo, fino a dove nessun individualismo a sé possa arrivare riesca a far sentire pieni di risorse, capaci di realizzare qualcosa di veramente concreto da tutti i punti di vista.
Quello su cui è bene soffermarsi invece, è uno degli aspetti più pesantemente negativi dal quale poche realtà antagoniste sono immuni: il ritrovarsi divisi in schieramenti diversi all’interno dello stesso spazio. E’ una situazione che alcuni di noi ultimamente hanno vissuto da molto vicino, talmente da vicino da rimanerne segnati nell’animo al punto di sentire l’esigenza di comunicare le proprie sensazioni attraverso una canzone.
Non saremo certo qui ad entrare nel dettaglio e a raccontare eventi, anche perché sicuramente non è questa l’occasione per farlo, ci limitiamo ad esporre il senso di sconforto che ha suscitato in noi una duratura e tesa condizione di equilibrio precario tra gruppi di persone che, seppur simili tra loro sotto diversi aspetti, arrivano allo scontro quotidiano a causa di differenti modi di vivere l’autogestione.
Accade così di domandarsi in maniera ossessiva, e pur avendo una personale posizione in questa spiacevole circostanza, quanto dei prolungati attriti interni, tra individui che in un modo o nell’altro sono costretti a convivere in un certo ambito, possano danneggiare la capacità di rimanere incondizionatamente un’identità politica in grado di minacciare seriamente la stabilità del mondo circostante. Viene da chiedersi se sia possibile portare avanti idee, progetti, iniziative quando a farlo devono essere persone che oramai si odiano; esasperate da un perenne fronteggiarsi che sembra eludere qualsiasi soluzione di compromesso.
E via via le speranze cominciano a dileguarsi lasciando spazio ad una profonda, dolorosa amarezza; l’amarezza di chi vedeva in tutti quei volti la stessa voglia di alzarsi in piedi ed agire, e immaginava che questa volta il tentativo di uscire dal controllo non sarebbe stato vano.
Aspettare che qualcuno ceda e smetta una volta per tutte di gridare le proprie ragioni?
O alzare i tacchi per ricominciare tutto da capo, come puntualmente è accaduto in passato, sancendo definitivamente la scissione?
Non è comunque la scelta decisiva ad avere rilevanza, quanto, piuttosto, il punto fisso che prescinde da qualsiasi esito finale, e cioè il fatto che come è a frantumi un gruppo di persone, lo è anche il potenziale antagonista che esse costituivano, ed ogni energia, così, finisce per disperdersi in questioni puramente personali, private. Ed è questo che toglie il respiro, che spesso demoralizza ed allontana prospettive e progetti per il futuro… L’essere al corrente di contribuire al gioco di chi ci vuole inattivi, alle macchinazioni di tutti coloro a cui fa comodo che ci odiamo gli uni gli altri, perdendo di vista il nostro obiettivo finale.